lunedì 27 gennaio 2014

Crepitio dell'acqua e del fuoco.

Sono nata al contrario. Sotto Terra, partorita dal retro dalla coda dei papaveri e dalle vene della quercia.
Vedevo i fiori dalla parte delle radici e le pettinavo con le dita, snodando ogni filo per farli respirare. Non ricordo quanta terra ho inghiottito, ma non mi dispiaceva perché non conoscevo sapore migliore.
Finché, nell'ultima decade di Aprile, non mi hanno disseppellita per farmi crescere all'aria aperta, farmi respirare quello che conoscevo solo in teoria, insieme ai bipedi chiamati gente.
Persona al singolare.

I primi anni di vita sulla Terra, e non sotto Terra, scorrevano frettolosi sugli insegnamenti dei veterani, qui chiamati adulti. Mi chiamavano Kaspar Hauser*, anche se conoscevo molte altre parole, oltre al mio nome e cognome. Sapevo camminare e percepivo nitidamente lo spazio con i miei occhi verdi.

Conosco la vostra lingua. La origliavo sotto le case. Conosco i pensieri delle radici. Per anni sono stata la loro confidente. Conosco lo sporco che mi avete riversato addosso, nel ventre della terra.

La mia seconda nutrice, Marie, non si sconvolgeva quando le parlavo delle mie origini, non storceva il naso quando annusava il mio corpo odoroso di muschio e ammirava la mia naturale sensibilità al colore dei fiori. Sarei potuta svenire per l'emozione alla vista di una genziana aperta o di un gelsomino appena appassito.
Una sindrome di Stendhal sui toni della botanica.
Marie è bruna, riccioluta, un viso tondo e burroso e una voce da mamma umana per me nuova, per molti scontata.
Mi ripuliva dalle macchie di terreno e asciugava le mie lacrime nostalgiche.
Mi ha insegnato che ogni creatura deve cercare la "sua creatura".
Che ognuno deve appartenere a ognuno.
Che anche io, un giorno, avrei avuto bisogno della "mia persona".
Io le ricordavo che la Terra mi aveva lasciata andare. Mi amava, ma perché avrebbe dovuto continuare a soffocarmi con il suo sapore castano? Tutti vogliono respirare, perché qualcuno che ci ama non dovrebbe?

Capii subito che la sua lingua non mi apparteneva più, che parlare d'amore poi mi avrebbe resa vittima di un triste ciclo affettivo. Così lasciai casa sua, i suoi vaneggiamenti e le sue amorevoli cure.

Anni dopo, quando la ritrovai seduta nel nostro bar preferito, mi confidò di aver pianto.
Le avevo detto la verità, ma non poteva accettarla. Voleva qualcuno da possedere e coccolare, ma si era invaghita di una creatura di nessuno. Le sono sfuggita dalle mani come i petali morti delle primule.

Prima di dirle addio, prima di tornare a vagare, le ho cantato la nostra canzone, senza curarmi dei clienti poco abituati alle esibizioni dei folli e dei musicisti improvvisati. Cantavo Asleep, rimpiangendo di non avere un pianoforte per riempire le pause della melodia.
Dimenticai le ultime parole, Marie non se ne curò.
Non mi abbracciò per non sentire il mio odore.
Non sorrise per non darsi speranze.

Cosa posso fare, colombella? Non posso cantare accanto a te, finché ti addormenti. Potrei darti l'illusione di ritrovarmi alle sei di mattina. Ho bisogno di andare.
Non tornerò sotto le radici.
Non tornerò da te.
Non voglio prometterti di portarti nel cuore. Puoi crederlo.
Mai lo saprai.
Mai te lo dirò. 



*NdT. Kaspar Hauser fu un giovane tedesco che affermò di essere cresciuto in totale isolamento in una scura cella. Poteva nutrirsi solo di pane e acqua e il solo odore di carne o alcool gli provocava terribili convulsioni. Reagiva violentemente a qualsiasi impressione sensoriale, come ai suoni acuti. Non riusciva a riconoscere la tridimensionalità del paese che vedeva dalla finestra della sua cella, tanto che, quando iniziò a comunicare, pensava fosse un brutto quadro, venuto male. 

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