martedì 8 luglio 2014

Dimensione onirica più densa della veglia.

Leggere "Visioni di Robot" di Asimov probabilmente sta avendo effetti inaspettati.
Vivo mattine e serate gradevoli (credo non grazie a ciò che sto leggendo) e i sogni sembrano stanze silenziose che mi regalano solo immagini desolanti. Non so voi, ma io non riesco a ricordare il suono dei miei sogni. I fotogrammi scorrono placidi e io sono solo una spettatrice interattiva. E' quasi come vedere un film senza audio dolby surround, o meglio, come giocare con l'Oculus Rift con il volume ai minimi storici. 


Fatto sta che tutto quello che sto cercando di ignorare si sta ripercuotendo nella dimensione onirica. Robot che mi ricordano di aver perso uno dei miei più cari amici - sì, robot, ecco perché do la colpa a zio Asimov -  e di non poter più tornare indietro nonostante le cose abbiano semplicemente seguito il corso naturale degli eventi.
Soprattutto quando una cotta, una scopata o una qualsiasi azione vagamente vicina ai sentimenti o alle pulsioni non viene soddisfatta (io non corrisposta, lui\lei non corrisposto\a da me, storie mai iniziate dopo un prologo degno del miglior romanzo delle Bronte), vivo molto male le liti. Molto menefreghismo esterno, ma le domande si fanno ridondanti nella mia testa.

Questa volta la veglia è anestetizzata.
Nessuna domanda nel corso della giornata, troppo impegnata. Troppo presa da ciò che Sintija ci propina a lezione - mamma Sintija prof di teatro -, troppo impegnata con gli esami, troppo vicina al mio pianoforte. Ma tutto questo ha lo stesso effetto del buscofen: lo assumi e poi nessun dolore. L'effetto finisce? Allora preparati a piangere sul cuscino dal dolore. 

Sai qual è la cosa peggiore? 
Che le azioni compiute da tutti i personaggi di questa pantomima non sono né giuste né sbagliate. 
Che non c'è nulla da biasimare...

... Insomma ...

Che non posso prendermela con nessuno. 

Tanto per smorzare la tensione.